Ci sono momenti in cui si si può chiedere perché, in Sardegna, l’archeologia appare investita di un’importanza così marcata. Giornali, televisioni, politici, uomini di cultura, gente comune: tutti sembrano non solo interessati, ma anche competenti, in merito. Eppure non è così. L’archeologia è una disciplina scientifica complessa, la cui pratica richiede l’acquisizione di specifiche competenze attraverso un percorso di studi e di lavoro tutt’altro che alla portata di tutti. Sono queste competenze che consentono la decodifica di monumenti come quello che ora visitiamo. Siamo in presenza di una delle torri nuragiche meglio conservate dell’intera isola. È il mastio di un nuraghe complesso, alto m 14 residui, protetto da un bastione trilobato. Si conservano ancora integre le camere dei due piani sovrapposti. Tutto appare ‘canonico’ in questo monumento: la disposizione degli ambienti, la tecnica costruttiva, la capacità di adattamento alla situazione contestuale. Non è l’eccezionalità il segno distintivo di questo edificio. È invece proprio la sua canonicità. E ciò ci spinge a ricordare che, forse, proprio questo è – aspira ad essere – la cultura intesa come dispositivo: un meccanismo basato più sulla ridondanza che sull’originalità.